I nostri pensieri divengono il nostro mondo. Noi diventiamo ciò che pensiamo. Questo è l'eterno mistero. (Maitri Upanisad)

lunedì 3 settembre 2012

Bhagavad Gita











Il Mahabharata è antichissimo e vasto, lungo sette volte l’Iliade e l’Odissea messe insieme, tre volte la Bibbia, con i suoi centomila versi è uno dei più lunghi poemi mai scritti. Al suo interno, settecento quartine di ottonari che hanno influenzato la storia dell’India ma anche quella del mondo intero: la Bhagavad-Gita, “Il canto del glorioso signore”, è un vero e proprio manuale d’istruzioni per vivere, scritto probabilmente nel II secolo a.C e proveniente da una tradizione orale precedente, secondo alcuni risalente a migliaia di anni prima.

Secondo la Bhagavad-Gita, peraltro articolata e ricca di sfumature, ognuno ha un suo dovere e un suo ruolo nel mondo, e deve compierlo con la massima devozione, senza alcun attaccamento al risultato, semplicemente dedicando in modo sincero le sue azioni al divino. Il poema, per usare le parole di Gandhi, “descrive la battaglia che sempre infuria tra gli infiniti Kaurava e Pandava che abitano dentro di noi. È una lotta tra le innumerevoli forze del bene e del male che si personificano in noi come vizi e virtù”.
La Bhagavad-Gita è un coraggioso invito alla vita attiva, con alcune fondamentali istruzioni pratiche sullo Yoga in quanto tecnica per imparare il controllo della mente e del corpo: “lo yoga che pone fine alla sofferenza è per chi è misurato nel cibo e nel divertimento, è misurato nelle sue azioni, è misurato nel sonno e nella veglia”. (VI 17)

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